L’algoritmo della fiducia: i segreti di Google per far emergere (o nascondere) le recensioni
Nel marketing locale, la fiducia è la nuova valuta. E oggi il suo valore è deciso – letteralmente – da un algoritmo. Oggi ogni stella, ogni parola lasciata su Google contribuisce a determinare la reputazione digitale di un’azienda, incidendo direttamente sulla sua capacità di attrarre clienti e generare conversioni. Ma ciò che molti ignorano è che, dietro la vetrina delle opinioni degli utenti, opera un sofisticato sistema di selezione che decide quali recensioni far emergere e quali lasciare nell’ombra.
Non si tratta di un semplice filtro tecnico o di una moderazione automatica. È un meccanismo di ranking che valuta centinaia di segnali, analizza linguaggio, frequenza, affidabilità del profilo e coerenza del contenuto. In altre parole, la visibilità di una recensione non è mai casuale. È il risultato di un processo di “selezione della fiducia” che, nel tempo, ha trasformato Google nel principale arbitro della reputazione online mondiale.
In questo articolo esploriamo come funziona questo algoritmo, partendo dalle regole ufficiali pubblicate da Google, per capire in che modo il motore di ricerca filtra, ordina e premia le recensioni considerate autentiche e utili. Analizzeremo poi i meccanismi con cui Google decide di nascondere o rimuovere contenuti sospetti, il ruolo delle cosiddette “recensioni in evidenza” e, infine, come l’intelligenza artificiale stia modificando la relazione tra esperienza d’utente e reputazione digitale.
Come Google valuta una recensione
Il Reviews System, descritto nella documentazione ufficiale di Google Search Central, è un sistema algoritmico globale che analizza i contenuti di recensione pubblicati non solo su Google, ma anche su siti terzi, per determinare quali siano effettivamente utili agli utenti. Non si tratta soltanto delle recensioni lasciate sulle schede di Google Business Profile, ma anche di contenuti pubblicati su Google Shopping, sulle schede prodotto e, in parte, su siti terzi che Google aggrega nei risultati di ricerca. In altre parole, l’ecosistema delle recensioni è distribuito: ogni opinione utile può contribuire alla reputazione complessiva di un marchio, anche al di fuori della sua scheda principale. La funzione dell’algoritmo non è “giudicare” la qualità di un’azienda, bensì stabilire se una recensione può contribuire a una decisione d’acquisto consapevole.
Criteri di valutazione
Esperienza diretta e autenticità percepita
Google afferma che il sistema privilegia le recensioni scritte da persone con esperienza diretta del prodotto o servizio, capaci di fornire dettagli concreti e verificabili. Non basta dichiarare di aver utilizzato un servizio: l’algoritmo cerca segnali concreti nel testo e nei metadati. Tra questi:
- la presenza di verbi d’azione legati all’esperienza (“ho acquistato”, “abbiamo prenotato”, “mi è stato installato”);
- la citazione di elementi tangibili (modello, tempi, luogo, persona o team coinvolto);
- dove possibile, foto originali scattate dall’utente.
In un’analisi condotta da BrightLocal nel 2024, le recensioni che contenevano almeno una foto generavano il 35% di visualizzazioni in più rispetto a quelle solo testuali, e avevano il 49% di probabilità in più di essere mostrate come “più pertinenti” nella sezione principale del profilo. Non è un caso: Google considera la presenza visiva un segnale forte di autenticità, perché riduce il rischio di manipolazione.
Freschezza e frequenza
Il tempo è un fattore cruciale nel calcolo della visibilità. Quando si pubblica una nuova recensione su GBP, si osserva in media un aumento della visibilità su Google Maps entro 30 giorni. Questo perché l’algoritmo interpreta la continuità delle recensioni come segnale di vitalità dell’attività.
Il sistema valuta due dimensioni temporali:
- freschezza assoluta: quanto è recente la recensione;
- frequenza relativa: quanto spesso un profilo riceve feedback nel tempo.
Un’attività che riceve recensioni regolari (es. 3-5 al mese) viene percepita come affidabile e attiva; al contrario, un picco improvviso seguito da mesi di silenzio può essere interpretato come anomalo o artificiale, e quindi penalizzato. Google non lo dichiara apertamente, ma analisi indipendenti hanno mostrato che i profili con recensioni costanti nel tempo tendono a mantenere posizioni più stabili nel “Local Pack”, anche a parità di punteggio medio.
Pertinenza e segnali semantici
Dietro il ranking delle recensioni c’è una vera e propria analisi semantica. Google utilizza modelli linguistici (simili a BERT e MUM) per valutare la pertinenza tematica del testo rispetto alla ricerca dell’utente. Esempio: se qualcuno cerca “idraulico Milano installazione caldaia”, l’algoritmo mostrerà in evidenza recensioni che contengono parole chiave come “installazione”, “caldaia”, “rapido”, “costo”, “Milano”. Questo meccanismo, noto come justification, serve a generare i frammenti testuali che Google mostra direttamente nei risultati (“Servizio rapido e professionale — recensione di Marco R.”). Questo spiega perché Google incoraggia le aziende a rispondere alle recensioni: il testo delle risposte contribuisce alla densità semantica complessiva del profilo, arricchendo le informazioni utili per l’utente e migliorando la posizione nella SERP locale.
Questa impostazione, apparentemente neutrale, ha però un effetto collaterale importante: sposta il controllo della reputazione aziendale dalle persone all’algoritmo. Anche recensioni autentiche possono diventare invisibili se non rispondono agli standard impliciti di “utilità” definiti da Google, mentre quelle più pertinenti al momento della ricerca vengono messe in primo piano. La fiducia, insomma, non è più solo un valore umano: è un parametro calcolato, aggiornato e riscritto quotidianamente da un sistema automatizzato.
Come Google nasconde le recensioni: cosa sta accadendo ai profili GBP
All’inizio del 2025, migliaia di profili Google Business Profile in tutto il mondo si sono trovati improvvisamente con un numero di recensioni più basso rispetto alla settimana precedente. Non si trattava di un piccolo disallineamento: in alcuni casi le perdite contavano decine o centinaia di valutazioni. L’episodio, riportato da Thrive Agency e ripreso da vari osservatori del marketing locale, è stato ribattezzato “la crisi delle recensioni Google”.
Come spiegato da Victoria Kroll, portavoce di Google, il fenomeno inizialmente era dovuto a un errore di visualizzazione. Le recensioni non erano state eliminate, ma il contatore mostrava numeri inferiori a quelli reali. Tuttavia, la stessa ondata ha portato con sé anche cancellazioni permanenti, come hanno segnalato diverse imprese anche di grandi dimensioni, le quali hanno lamentato la scomparsa di recensioni legittime senza spiegazioni, sostituite solo da una risposta automatica con un elenco generico di possibili motivazioni.
La scomparsa delle recensioni “perfette”
Analisi successive hanno rivelato un pattern ricorrente: molto spesso, le recensioni eliminate senza spiegazioni erano quelle con punteggi altissimi. Ciò significa che l’algoritmo di Google non considera l’eccellenza come un valore assoluto, ma come un segnale da verificare. Recensioni perfette, prive di dettagli concreti o pubblicate in sequenze anomale, vengono oggi interpretate come potenzialmente artificiali. Il risultato è un sistema che tende a sospettare della perfezione, privilegiando valutazioni più sfumate, capaci di raccontare un’esperienza reale piuttosto che dichiarare un entusiasmo assoluto.
Episodi simili si erano già verificati nel dicembre 2024, quando una ricerca di Search Engine Land aveva rilevato che oltre il 70% delle recensioni eliminate dalle schede GBP presentava cinque stelle: un dato eloquente che conferma l’intento di Google di colpire le recensioni troppo perfette, spesso frutto di campagne manipolate o incentivate. In questa ricerca, le prime recensioni a scomparire erano quelle composte da poche parole, prive di riferimenti tangibili o con linguaggio eccessivamente generico. Al contrario, recensioni più articolate — anche se brevi — ma con dettagli su luogo, tempi o personale coinvolto, tendevano a resistere ai filtri.
Il sintomo di una transizione profonda
Al di là del caso tecnico, questa crisi è il sintomo di una transizione più profonda: Google sta rendendo sempre più rigidi i propri filtri per individuare recensioni false o sospette, e lo sta facendo attraverso sistemi di intelligenza artificiale addestrati sul linguaggio e sui pattern comportamentali dei recensori. Il confine tra autenticità e anomalia, tuttavia, è sottile. Gli algoritmi che identificano comportamenti sospetti — ad esempio un picco improvviso di recensioni positive da nuovi account o testi troppo simili tra loro — rischiano di colpire anche utenti veri. Il risultato è che alcune imprese si ritrovano penalizzate non per mancanza di trasparenza, ma per eccesso di zelo da parte del sistema.
In prospettiva, questo approccio mostra chiaramente la direzione che Google intende seguire: un ecosistema in cui la reputazione digitale diventa un dato da autenticare, non più un contenuto da raccontare. Ogni recensione, ogni interazione, ogni parola scritta deve essere verificabile e coerente con l’esperienza d’acquisto. È un’evoluzione necessaria per arginare il mercato nero delle recensioni false — ma anche un cambio di paradigma per le aziende, che devono imparare a gestire la propria reputazione con strumenti di monitoraggio costante e processi di raccolta più trasparenti.
Cosa sappiamo dei sistemi IA di Google per le recensioni
Quando Google parla oggi di lotta alle recensioni false, non si riferisce più a un semplice filtro automatico. Negli ultimi due anni, il sistema è diventato un’infrastruttura di intelligenza artificiale complessa, capace di analizzare testi, comportamenti e connessioni nel tempo.
Alla base di questo ecosistema c’è Gemini AI, il modello multimodale di nuova generazione che Google ha integrato nella gestione dei profili aziendali e delle recensioni su Maps. Gemini non si limita a cercare parole vietate o a bloccare recensioni identiche: apprende pattern di comportamento, monitora modifiche sospette nei profili e individua anomalie che possono rivelare manipolazioni coordinate. Nel solo 2024, grazie a questa evoluzione, Google ha dichiarato di aver rimosso o bloccato oltre 240 milioni di recensioni e contributi non conformi, molti dei quali prima ancora che diventassero visibili al pubblico. L’infrastruttura AI dietro la valutazione delle recensioni si fonda su tre livelli principali:
- dimensione temporale. L’IA osserva la storia dell’account che pubblica, la frequenza con cui lascia feedback, la coerenza geografica dei luoghi recensiti, i picchi improvvisi di valutazioni simili in intervalli ravvicinati. Sono proprio questi “pattern nel tempo” a far emergere molte delle anomalie che attivano i filtri.
- analisi linguistica. Gli avanzamenti dichiarati da Google sul fronte AI sono coerenti con ciò che la letteratura tecnica mostra: classificatori neurali addestrati su grandi corpora distinguono con sempre maggiore precisione pattern “umani” da pattern sintetici o manipolati, forzando le piattaforme a continui upgrade dei modelli di discriminazione.
- correlazioni tra recensori: il livello “di rete”. Tecniche derivate dall’analisi su grafi permettono di individuare gruppi di account che si muovono in modo correlato nello spazio e nel tempo — la “firma” della collusione. In ambito accademico, approcci basati su network analysis dimostrano come la struttura delle connessioni e le tempistiche condivise siano segnali robusti per scovare campagne coordinate; su scala industriale, un modulo con questa logica affiancato a Gemini rende spiegabile perché recensioni apparentemente “regolari” possano sparire ex post: emergono nuove evidenze di correlazione che ribaltano il giudizio di affidabilità iniziale.
Mettendo insieme questi tre livelli — comportamento nel tempo, linguaggio, rete — Google traduce la fiducia in un punteggio dinamico che può cambiare anche mesi dopo la pubblicazione. È un sistema ibrido, dove il machine learning fa da primo filtro e la revisione umana interviene nei casi liminali, ma l’effetto per le PMI è chiaro: non basta avere buone recensioni, devono anche risultare coerenti per l’algoritmo che decide cosa merita visibilità.
La fiducia oggi è (anche) un calcolo: come superare il test di Google
Il sistema recensioni di Google è passato da semplice vetrina a infrastruttura di moderazione continua: combina analisi del linguaggio, pattern temporali e correlazioni di rete, rivedendo a posteriori ciò che mostra e ciò che oscura. L’effetto, per chi fa impresa, è concreto: la reputazione non è solo “quante stelle abbiamo”, ma quanto le recensioni risultano utili, recenti e coerenti ai criteri del Reviews System e dei nuovi moduli IA (Gemini) che presidiano Maps e i profili business.
Cosa fare adesso?
- Guidare la qualità (non la quantità). Dopo il servizio, chiedi recensioni “utili”: cosa è stato fatto, in quanto tempo, da chi, con quale esito. Brevi ma specifiche, meglio se accompagnate da una foto.
- Curare la freschezza come un KPI di business. La continuità batte i picchi: prevedi un flusso costante.
- Rispondere sempre, bene e in fretta. Le risposte aggiungono contesto semantico (giustificazioni/“justifications”) e segnalano presidio.
- Prevenire i falsi positivi. Niente incentivi, niente filtri che invitano solo clienti soddisfatti: oltre a violare le policy, aumentano il rischio di rimozioni. Se spariscono recensioni legittime, apri un ticket e documenta i casi.
- Inserire i dati strutturati, dove ha senso. Su sito e pagine prodotto usa correttamente lo schema Review/AggregateRating per rich snippet clean e coerenti (senza forzature).
In un mercato in cui la fiducia è filtrata dagli algoritmi, la differenza la fa chi progetta le recensioni come un vero processo di valore: utili, recenti, verificabili. Se questo tema ti tocca da vicino e vuoi capire come adattarlo al tuo settore, abbiamo messo a punto un percorso pratico per aiutarti a migliorare la tua visibilità locale.
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